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    The monthly magazine of the Italian Jesuits “Aggiornamenti Sociali” of October 2016 publishes a note “Europe after Brexit: where it starts” by Sergio Fabbrini (LUISS University – Rome). We publish the conclusion.

    The entire story of the process of European integration has been characterized by a double, constant tension: the first one between an economic logic and a political one; the second one between a supranational and intergovernmental logic. Since Maastricht, this dual tension has created an institutional structure organized around two distinct regimes (the Eurozone countries and the opt-out countries) and then two different decision-making systems, the supranational one and the intergovernmental one. The multiple crises of recent years and then the British referendum of June 2016 have put this construction in radical questioning. If crises have shown the negative consequences of an intergovernmental integration process (as the division between the states and the decision-making hierarchy between them), the British referendum has turned into a real separation the distance arisen in time between the countries concerned only with economic cooperation and those interested in deepening their monetary integration. After the British vote, the EU will not have any future if it fails to create two separate organizations: the common market one, inclusive of all Member States of the Eu and necessarily also of the United Kingdom; and a political union built around the more integrated Eurozone countries. For the first a new Interstate Treaty will be enough, for the second instead it will be necessary an unprecedented constitutional pact that realizes the principle of the union of equals. An equality promoted and protected by an institutional architecture designed to prevent the formation of prominent majorities, the activation of unilateral decision-making processes and the institutionalization of decision-making hierarchies between Member States.

    This reform is necessary but politically difficult, even before than technically. In fact, it will have to be pursued in a context characterized by populist movements and anti-European feelings. Movements and feelings in turn fed by the inadequacy of the Eu in making decisions and its inability to respond to the economic and political crises that Europe is experiencing. The more citizens feel that the EU is not able to govern the problems that threaten them, the more they will turn to their national governments that, taken individually, will not however be able to do so. It is this sense of uncertainty about the future that continues to fuel the refusal if not the skepticism towards the EU. For this reason, the reform will require courageous leaders to be realized.

    Sergio Fabbrini – Aggiornamenti Sociali, October 2016

    La rivista mensile dei Gesuiti italiani “Aggiornamenti Sociali” di ottobre 2016 pubblica una nota “L’Europa dopo Brexit: da dove si riparte” di Sergio Fabbrini (Università Luiss – Roma). Ne pubblichiamo la conclusione.

    L’intera vicenda del processo d’integrazione europea è stata caratterizzata da una doppia, costante tensione: la prima tra una logica economica e una politica; la seconda tra una logica sovranazionale e una intergovernativa. A partire da Maastricht, questa doppia tensione ha dato vita a una struttura istituzionale organizzata intorno a due regimi distinti (l’Eurozona e i Paesi dell’opt-out) e quindi a due regimi decisionali diversi, quello sovranazionale e quello intergovernativo. Le molteplici crisi di questi anni e poi il referendum britannico del giugno 2016 hanno messo in radicale discussione questa costruzione. Se le crisi hanno mostrato le Conseguenze negative di un processo d’integrazione intergovernativa (come la divisione tra gli Stati e le gerarchie decisionali tra di essi), il referendum britannico ha trasformato in una vera e propria separazione la distanza creatasi nel tempo tra i Paesi interessati esclusivamente alla cooperazione economica e quelli interessati ad approfondire la loro integrazione monetaria. Dopo il voto britannico, la Ue non avrà futuro se non riuscirà a creare due distinte organizzazioni: quella del mercato comune, inclusiva di tutti gli Stati membri dell’attuale Ue e necessariamente anche del Regno Unito; e un’unione politica, costruita intorno ai Paesi più integrati dell’eurozona. Per la prima sarà sufficiente un nuovo trattato interstatale, per la seconda sarà invece necessario un inedito patto costituzionale che realizzi il principio dell’unione tra eguali. Un’eguaglianza promossa e protetta da un’architettura istituzionale finalizzata a prevenire la formazione di maggioranze preminenti, l’attivazione di processi decisionali unilaterali e l’istituzionalizzazione di gerarchie decisionali tra gli Stati membri.

    Tale riforma si presenta come un’operazione necessaria ma difficile sul piano politico, prima ancora che tecnico. Infatti, essa dovrà essere perseguita in un contesto connotato da movimenti populisti e sentimenti anti-europei. Movimenti e sentimenti a loro volta alimentati dall’inadeguatezza decisionale della Ue e dalla sua incapacità a rispondere alle crisi economiche e politiche che l’attraversano. Più i cittadini percepiscono che la Ue non è in grado di governare i problemi che li minacciano, più si rivolgeranno ai rispettivi Governi nazionali che, singolarmente presi, non saranno però in grado di farlo. È tale senso d’incertezza nei confronti del futuro che continua ad alimentare il rifiuto se non lo scetticismo nei confronti dell’Ue. Per questo motivo, la riforma richiederà leader coraggiosi per essere realizzata.

    Sergio Fabbrini – Aggiornamenti Sociali, ottobre 2016

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