Share this article on:

    I knew you before I formed you in your mother’s womb” (Jeremiah, 1:5). The prophet would feel rather confused nowadays had he come across surrogacy, a practice whereby a woman (the ‘surrogate mother’) becomes pregnant with the intention of handing over the child to someone else (the ‘intended parent’) after the birth.

    In the EU, only Greece and the United Kingdom have explicitly legalized surrogacy. However, in about half the EU Member States, diverse judicial arrangements may enable an eventual recognition or establishment of filiation to the ‘intended parents’ in the case where surrogacy procedures take place abroad.

    What is evident now is that surrogacy is booming, fueling a multibillion-dollar industry, mostly in some less-developed countries. Lawsuits are popping up everywhere.

    Controversial rulings

    ‘Fertility clinics’ practicing ‘surrogacy’ are also flourishing in some states of the US. The European Court of Human Rights (ECHR) had now to decide upon the grave and intricate legal consequences of two of such cases (Menneson v. France and Labassee v. France)  involving children born in the US with French ‘intended parents’ to whom filiation ties have been established according to the US law.

    France, one of EU Member States which prohibit surrogacy in its legislation, also does not recognize foreign birth certificates where the ‘intended parents’ appear as the ‘legal parents’.

    In the present rulings, first of all, and without taking any explicit position with regard to whether surrogacy is compatible or not with human dignity (but implicitly conceding that it is), the Court of Strasbourg considered that there is a wide margin of appreciation for the Contracting States with regard to whether to allow or not surrogacy in their internal legislation and also whether to recognize or not the filiation established according to a foreign legislation.

    Secondly, the Court considered that filiation is an element of the identity of any person, affirming its protection under Article 8 (‘right to respect for private and family life’) of the European Convention on Human Rights. Finally, the exclusion by France of any possibility – even through the acknowledgement of paternity or the adoption procedures – for recognising or establishing the filiation, according to the ECHR, has violated that right of the children born through surrogacy, owing specially to the fact that, in both cases, the ‘intended fathers’ were at the same time their ‘biological fathers’ too.

    No matter whether the behaviour of the ‘intended parents’ consisted or not of an attempt to fraudulently avoid the application of French law (‘fraus legis’) and no matter the fact that the filiation of the children is unquestionably established in the light of American law: a disturbance persists regarding the identity of the children within French society as, according to the Court, it is uncertain the effects this refusal to recognize or to establish the filiation in France might produce with regard to the recognition of French nationality or the right of these children to inherit in France.

    Conclusively, from the ECHR perspective, the State’s obligation to provide for the possibility of recognizing or establishing the filiation in France is deemed a just balance between its legitimate aim of discouraging the resort to surrogacy abroad and the best interests of the children.

    Issues to be clarified

    These rulings pose at least two major questions. First of all, it is not clear how relevant to their outcome was the fact that the ‘intended fathers’ were also the ‘biological fathers’ of the children. Secondly, it is not easy to draw a clear conclusion on whether these rulings aren’t simply undermining any effective margin of appreciation of the Contracting States as, in practice, no matter their domestic law, it has now been assured that there will always be a possibility available to contravene it. The conclusion would be negative, should a judicial procedure such as adoption not be perverted or distorted; the judgment on a similar, pending case, the Paradiso and Campanelli v. Italy, will most likely shed some light on this.

    In any case, what seems now certain and rather consensual is the necessity of a covenant between States, ideally at world level, in order to prevent situations that involve such sufferings and offences to human dignity as is the case with surrogacy, especially to the ‘surrogate mother’ and the children involved.

    (source: Europeinfos #176)

    Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo” (Geremia 1,5). Il profeta si sentirebbe piuttosto confuso oggi venendo a conoscenza della maternità surrogata, prassi con cui una donna (la ‘madre surrogata’) rimane incinta con l’intenzione di consegnare il bambino a qualcun altro (il ‘genitore previsto’) dopo la nascita.

    Nell’UE, solo la Grecia e il Regno Unito hanno esplicitamente legalizzato la maternità surrogata. Tuttavia, in circa la metà degli Stati membri dell’UE, accordi giudiziari diversi possono consentire un eventuale riconoscimento o l’istituzione della filiazione agli “aspiranti genitori” nel caso in cui le procedure di maternità surrogata si svolgano all’estero.

    È comunque evidente che ora la maternità surrogata è in piena espansione, alimentando un’industria multimiliardaria, per lo più in alcuni paesi meno sviluppati. Le cause giudiziarie stanno spuntando ovunque.

    Sentenze controverse

    Cliniche della fertilità” che praticano la maternità surrogata sono fiorenti in alcuni stati degli Stati Uniti. La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha dovuto affrontare le gravi e complesse conseguenze giuridiche di due casi (Menneson c. Francia e Labassee c. Francia) in cui erano coinvolti bambini nati negli Stati Uniti con aspiranti genitori francesi i cui vincoli di filiazione sono stati stabiliti in base alla legge degli Stati Uniti.

    La Francia, uno degli Stati membri dell’Unione europea che vietano la maternità surrogata nella sua legislazione, non riconosce nemmeno i certificati di nascita esteri in cui gli “aspiranti genitori” compaiono come “genitori legali”.

    Senza prendere posizione esplicita in merito al fatto che la maternità surrogata sia compatibile o meno con la dignità umana (ma implicitamente ammettendo che lo sia), nelle sentenze emesse finora la Corte di Strasburgo ha ritenuto che vi sia un ampio margine di valutazione per gli Stati contraenti per quanto riguarda l’opportunità di autorizzare o meno la maternità surrogata nella loro legislazione interna e anche se riconoscere o meno la filiazione stabilita in base a una legislazione straniera. Inoltre, la Corte ha ritenuto che la filiazione è un elemento dell’identità di ogni persona, affermandone la tutela ai sensi dell’articolo 8 (‘diritto al rispetto della vita privata e familiare’) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Infine, secondo la Corte, l’esclusione da parte della Francia di ogni possibilità – anche attraverso il riconoscimento della paternità o le procedure di adozione – di riconoscimento o istituzione della filiazione ha violato tale diritto dei bambini nati attraverso la maternità surrogata, a causa specialmente del fatto che in entrambi i casi, i “padri aspiranti” erano contemporaneamente anche i “padri biologici”.

    Non importa se il comportamento degli “aspiranti genitori” fosse o meno un tentativo di evitare in modo fraudolento l’applicazione della legge francese (‘fraus legis’) e non importa il fatto che la filiazione dei bambini sia indiscutibilmente definita alla luce della legge americana: persiste una turbativa per quanto riguarda l’identità dei bambini all’interno della società francese dal momento che, secondo la Corte, sono incerti gli effetti che questo rifiuto a riconoscere o stabilire la filiazione in Francia potrebbe produrre per quanto riguarda il riconoscimento della nazionalità francese o il diritto di questi bambini all’eredità in Francia.

    In conclusione, dal punto di vista della Corte, l’obbligo dello Stato di provvedere alla possibilità di riconoscere o stabilire la filiazione in Francia è considerato un giusto equilibrio tra il suo legittimo scopo di scoraggiare il ricorso alla maternità surrogata all’estero e l’interesse superiore dei bambini.

    Questioni da chiarire

    Queste sentenze pongono almeno due questioni fondamentali. Prima di tutto, non è chiaro quanto rilevante per il loro esito sia stato il fatto che gli “aspiranti padri” sono stati anche i “padri biologici” dei bambini. In secondo luogo, non è facile trarre una conclusione chiara sul fatto se tali decisioni non stiano semplicemente minando i margini effettivi di valutazione degli Stati, dal momento che, in pratica, a prescindere dal diritto nazionale, è stato assicurato che ci sarà sempre la possibilità di contravvenirlo. La conclusione sarebbe negativa, se un procedimento giudiziario, come l’adozione, non venisse deformato o distorto; il giudizio su una causa pendente simile, Paradiso e Campanelli c. Italia, molto probabilmente farà luce su questo.

    In ogni caso, ciò che sembra ormai certo e piuttosto consensuale è la necessità di un patto tra Stati, idealmente a livello mondiale, al fine di evitare situazioni che coinvolgono sofferenze e offese alla dignità umana, com’è nel caso della maternità surrogata, in particolare per la madre surrogata e i bambini coinvolti.

    (fonte: Europeinfos #176; traduzione italiana a cura di Eurcom)


    Maternité de substitution, dignité humaine et intérêt supérieur de l’enfant

    Avant même de te façonner dans le sein de ta mère, je te connaissais” (Jérémie 1,5). Le prophète aurait du mal à y voir clair aujourd’hui s’il rencontrait ce que l’on appelle la maternité de substitution, une pratique par laquelle une femme (la “mère porteuse”) tombe enceinte avec l’intention de remettre l’enfant à une autre personne (“le parent d’intention”) après la naissance.

    Dans la sphère de l’Union européenne, seuls le Royaume-Uni et la Grèce autorisent explicitement cette pratique dans leur législation ; toutefois, dans près de la moitié des Etats membres de l’Union, diverses dispositions juridiques rendent possible l’éventualité de la reconnaissance ou de l’établissement d’une filiation avec les “parents d’intention” lorsque les procédures en matière de maternité de substitution se déroulent à l’étranger.

    Ce qui est évident à l’heure actuelle, c’est que cette pratique est en plein essor, qu’elle alimente une industrie qui rapporte des milliards de dollars, surtout dans certains pays moins développés, et que les procès se multiplient partout.

    Des arrêts controversés

    Les cliniques spécialisées dans le traitement de la stérilité qui proposent la maternité de substitution sont également florissantes dans certains Etats des USA. La Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) a dû statuer sur les conséquences juridiques graves et complexes de deux cas de ce type (Mennesson c. France et Labassee c. France), impliquant des enfants nés aux Etats-Unis dont les “parents d’intention” sont français et avec lesquels des liens de filiation ont été établis conformément à la législation américaine.

    La France, qui est l’un des Etats membres de l’Union européenne à interdire cette pratique dans sa législation, ne reconnaît pas non plus les actes de naissance étrangers dans lesquels les “parents d’intention” sont mentionnés comme étant les “parents légaux”).

    Dans les arrêts dont il est question ici, il faut tout d’abord indiquer que sans prendre une position explicite à l’égard de la compatibilité ou non de la maternité de substitution avec la dignité humaine (tout en concédant implicitement que c’est bien le cas), la Cour de Strasbourg considère qu’il existe une large marge d’appréciation pour les Etats contractants quant au fait d’autoriser ou non la maternité de substitution dans leur législation intérieure et aussi de reconnaître ou non la filiation établie conformément à une législation étrangère.

    Deuxièmement, la Cour considère que la filiation est un élément de l’identité d’une personne, en affirmant sa protection au titre de l’article 8 (“Droit au respect de la vie privée et familiale”) de la Convention européenne des droits de l’homme. Enfin, selon la CEDH, l’exclusion par la France de toute possibilité – même par le biais de la reconnaissance de paternité ou les procédures d’adoption – de reconnaître ou d’établir la filiation est une violation de ce droit chez les enfants nés via la maternité de substitution, surtout que dans les deux affaires en question, les “pères d’intention” étaient en même temps aussi les “pères génétiques”.

    Que le comportement des “parents d’intention” ait été ou non d’essayer d’éviter frauduleusement l’application du droit français (“fraus legis”), et même si la filiation des enfants est indiscutablement établie en vertu du droit américain, un trouble demeure en ce qui concerne l’identité des enfants au sein de la société française : en effet, comme l’indique la Cour européenne, il existe une incertitude quant aux effets susceptibles d’être causés par ce refus de reconnaître ou d’établir la filiation en France en ce qui concerne la reconnaissance de la nationalité française ou le droit de ces enfants à hériter en France.

    Du point de vue de la CEDH, l’obligation de l’Etat de donner la possibilité de reconnaître ou d’établir la filiation en France est donc considérée de façon concluante comme un juste équilibre entre son but légitime de décourager le recours à la maternité de substitution à l’étranger et l’intérêt supérieur des enfants.

    Questions à clarifier

    Ces arrêts posent au moins deux questions majeures : la première, c’est qu’on ne voit pas clairement dans quelle mesure le fait que les “pères d’intention” étaient aussi les “pères génétiques” des enfants a constitué un élément pertinent pour les conclusions des arrêts ; la deuxième, c’est qu’il n’est pas aisé de déterminer clairement si ces arrêts ne remettent tout simplement pas en cause toute marge d’appréciation efficace des Etats contractants puisqu’en pratique, quel que soit le droit national, il est maintenant certain qu’il existera toujours une possibilité de l’enfreindre. La conclusion serait négative si une procédure juridique telle que l’adoption n’était pas pervertie ou faussée. L’arrêt rendu dans une affaire similaire en instance, Paradiso et Campanelli c. Italie, nous apportera probablement des éclaircissements à cet égard.

    Quoi qu’il en soit, un point qui semble maintenant certain et qui réunit un large consensus, c’est la nécessité d’une convention entre les Etats, qui serait conclue dans l’idéal au niveau international, afin de prévenir des situations qui impliquent de telles souffrances et atteintes à la dignité humaine, en particulier pour la “mère porteuse” et les enfants concernés.

    (source: Europeinfos #176)


    Leihmutterschaft, die Würde des Menschen und das Wohl des Kindes

    „Noch ehe ich dich im Mutterleib formte, habe ich dich ausersehen” (Jeremia 1,5). Man stelle sich die Verwunderung des Propheten Jeremia vor, wenn er mit der heutigen Praxis der Leihmutterschaft konfrontiert worden wäre, bei der eine Frau (die „Leihmutter”) schwanger wird und das Kind mit dem Ziel austrägt, es nach der Geburt einer anderen Person (dem „Wunschelternteil”) zu übergeben.

    EU-weit ist die Praxis der Leihmutterschaft lediglich in Griechenland und im Vereinigten Königreich ausdrücklich gesetzlich erlaubt; allerdings gibt es in etwa der Hälfte der EU-Mitgliedstaaten diverse gerichtliche Regelungen, auf Grundlage derer im Falle eines im Rahmen einer Leihmutterschaft im Ausland geborenen Kindes eine Kindschaftsbeziehung zu den „Wunscheltern” anerkannt oder hergestellt werden kann.

    Heutzutage boomt das Geschäft der Leihmutterschaft, es nährt eine Milliarden Dollar schwere Industrie, allem voran in einigen weniger entwickelten Ländern und hat weltweit immer mehr Gerichtsverfahren zur Folge.

    Kontroverse Urteile

    Auch in einigen amerikanischen Bundesstaaten entstehen mehr und mehr „Fruchtbarkeitskliniken”, die Leihmutterschaften anbieten. Der Europäische Gerichtshof für Menschenrechte (EGMR) hatte unlängst in zwei Fällen (Menneson gegen Frankreich und Labassee gegen Frankreich) über die gravierenden und komplizierten Rechtsfolgen der Leihmutterschaft zu entscheiden. Bei diesen Fällen ging es um in den USA geborene Kinder französischer „Wunscheltern”, zu denen nach amerikanischem Recht eine Kindschaftsbeziehung hergestellt worden war.

    Frankreich gehört zu denjenigen EU-Staaten, in denen die Leihmutterschaft gesetzlich verboten ist und auch ausländische Geburtsurkunden, in denen die „Wunscheltern” als „rechtliche Eltern” eingetragen sind, nicht anerkannt werden.

    In den vorliegenden Urteilen geht der Straßburger Gerichtshof in einem ersten Schritt und ohne sich mit der Frage auseinanderzusetzen, ob das Prinzip der Leihmutterschaft mit dem der Würde des Menschen vereinbar ist (allerdings implizit einräumend, dass dem so ist), davon aus, dass die Vertragsstaaten einen weiten Ermessensspielraum haben, wenn es darum geht, die Leihmutterschaft nach ihrem nationalem Recht zuzulassen oder abzulehnen und eine nach dem Gesetz eines anderen Staates hergestellte Kindschaftsbeziehung anzuerkennen oder nicht.

    In einem zweiten Schritt erklären die Straßburger Richter, die Abstammung sei ein integraler Bestandteil der Identität eines Menschen und somit gemäß Artikel 8 („Recht auf Achtung des Privat- und Familienlebens”) der Europäischen Menschenrechtskonvention zu schützen. Schlussendlich, so der Gerichtshof, verstoße Frankreich, indem es jegliche Möglichkeit der Anerkennung bzw. Herstellung einer Kindschaftsbeziehung ausschließe – selbst durch eine Vaterschaftsanerkennung oder durch Adoptionsverfahren –  , gegen die Rechte der aufgrund einer Leihmutterschaft geborenen Kinder, insofern in beiden Fällen die „Wunschväter” gleichzeitig die „biologischen Väter” seien.

    Unabhängig davon, ob das Verhalten der „Wunscheltern” als Versuch zu werten ist, in betrügerischer Absicht die Anwendung des französischen Rechts zu umgehen („fraus legis”) und ungeachtet der Tatsache, dass nach amerikanischem Recht eindeutig eine Kindschaftsbeziehung hergestellt wurde, besteht nach wie vor Unsicherheit mit Blick auf den Rechtsstatus der Kinder innerhalb der französischen Gesellschaft, da nach Ansicht der Straßburger Richter nicht klar sei, welche Auswirkungen die Weigerung der Anerkennung bzw. der Herstellung einer Kindschaftsbeziehung in Frankreich auf die Anerkennung der französischen Staatsbürgerschaft besagter Kinder oder auf ihr Recht habe, in Frankreich zu erben.

    Daher, so der EGMR, habe der französische Staat die Pflicht, dafür zu sorgen, dass eine Kindschaftsbeziehung hergestellt bzw. anerkannt werden könne, wobei diese Pflicht in einem ausgewogenen Verhältnis zwischen seinem berechtigtem Ziel, die Praxis der Leihmutterschaft im Ausland zu unterbinden, und dem Wohle des Kindes stehen müsse.

    Offene Fragen

    Die Straßburger Urteile werfen mindestens zwei grundlegende Fragen auf: Zum einen ist unklar, wie entscheidend für das Urteil der Richter die Tatsache war, dass in besagten Fällen die „Wunschväter” auch die „biologischen Väter” der Kinder sind. Zum anderen stellt sich die nicht einfach zu beantwortende Frage, ob die Urteile letztlich nicht jegliche Form des Ermessensspielraums der Vertragsstaaten untergraben, da in der Praxis dafür gesorgt wurde, dass unabhängig vom nationalen Recht eines Staates zukünftig immer eine Möglichkeit besteht, dieses zu umgehen. Verneinen lässt sich diese Frage nur, wenn dafür gesorgt wird, dass kein gerichtliches Verfahren wie eine Adoption zweckentfremdet oder verzerrt wird. Das Urteil in einem ähnlich gelagerten, noch anhängigen Verfahren (Paradiso und Campanelli gegen Italien) wird mit Sicherheit etwas Licht in diese Angelegenheit bringen.

    Einigkeit besteht zumindest in einem Punkt: Es bedarf einer möglichst weltweit gültigen vertraglichen Vereinbarung, um Situationen zu verhindern, in denen die Würde des Menschen, insbesondere die der Leihmütter und der betroffenen Kindern derart leidet bzw. verletzt wird.

    (quelle: Europeinfos #176)

    Share this article on:

      José Ramos-Ascensão

      Legal advisor for Health, Research & Bioethics - Comece